UNA SETTIMANA CON OBAMA|la vostra inviata al quartier generale di Obama negli ultimi gg di campagna

"io ho avuto una grande fortuna nella vita, ho sempre sentito quando la storia mi passava dinanzi. istinto. (...) ho capito che qui cambiava la storia, e io non potevo che farne il testimone. stavo per ritornare nell'himalaja, avevo già fatto le valigie. ma mi pareva ingiusto, mi pareva di abdicare al senso di tutta la mia vita, che è stato quello di farmi coinvolgere nelle grandi storie. e allora mi sono rimesso in viaggio."
      -T. Terzani-

Me ne stavo abbioccata sul divano col mac che mi bruciava di nuovo le ginocchia, quando queste sacrosante parole mi sono tornate alla mente e, ahimé, mi hanno condotta a questa piccola follia. 

Credo ci siano momenti di una tale portata storica che uno non può starseli a guardare in televisione. E allora ho messo da parte ogni altra cosa, lo studio, gli impegni, la pigrizia, la paura di volare e ho prenotato il mio biglietto per Chicago.
Perché comunque vada, cambierà il futuro di tutti noi. E quindi come cittadina del mondo, prima che americana, quell'atmosfera voglio respirarla a piena polmoni. Quella notte voglio viverla con questi occhi e sulla mia pelle.

Ho una cugina, là, che lavora alla campagna elettorale. Mi ospiterà per una settimana, dal 1 al 7 di novembre. Nei primi giorni le darò una mano al quartier generale di Obama, poi mi vivo la notte dei risultati, resto ancora un paio di giorni e torno a casa.

Di questa piccola avventura voglio lasciare una traccia qui. Per me, per gli amici che mi seguono da casa e per chi come me è curioso di sapere che aria tira, là, dove si gioca sul serio questa partita. Che per come girano le cose, purtroppo, ha come posta il destino di mezza umanità. Tenete i crocini, va.

vostra inviata nel delirio,
elly

lunedì 19 gennaio 2009

I DETTAGLI CHE HO PERSO PER STRADA - parte quattro

ecco finalmente a voi il mio video inedito (in 2 parti) di quella notte a grant park!
in alto sulla destra i link (per data) ai post dei giorni delle elezioni.

IL DELIRIO A GRANT PARK

io e mia cugina ci siamo messe in fila verso le sei e mezza. i cancelli aprivano alle otto e mezza. fiumi di gente con gli occhi lucidi su michigan avenue. lo speaker ripeteva ininterrottamente le istruzioni sui controlli di sicurezza. forse poteva anche aspettare due minuti tra un annuncio e l’altro, considerando che quando sei in coda insieme a altre 250'000 persone ti sposti di un metro ogni quaranta minuti. abbiamo dovuto passare due perquisizioni e un metal detector. nel frattempo arrivavano i primi risultati. ovviamente appena qualcuno nella ressa riceveva un risultato via sms si metteva a sbraitare causando un minuto e mezzo di urla e delirio generale. non che nessuno capisse davvero cos’era successo. tutti urlavano, urlavi anche tu. una bizzarra variante del passaparola, tra migliaia di persone in coda. e in fibrillazione. al termine della urla con un po’ di culo sentivi anche che stato avevamo appena vinto. io in tutto ciò dovevo fare un collegamento telefonico con rete uno. con le linee intasate già non era facile, in più mi chiamavano sempre nei momenti meno opportuni. la prima volta durante una perquisizione. il poliziotto mi ha guardata come fossi un detonatore. la seconda invece dopo che, una volta entrata nel parco, avevo già fatto mezzora abbondante di fila per comprare una obama-maglietta e finalmente era il mio turno. ho dovuto far passare davanti tipo dieci persone.

nella folla immensa c’è addirittura gente che si ritrova, che ha fatto insieme il volontariato. ci posizioniamo anche noi, grossomodo a metà del parco. ci aspettava ancora qualche ora di attesa. io ovviamente avevo davanti a me una squadra di basket e non vedevo niente. ci spostiamo, strisciando tra la gente. l’atmosfera non era tesa, era di festa. tutti parlavano di una notte lunga, di previsioni in bilico, di testa a testa all’ultimo voto. ma non è stato così. la vittoria dell’ohio, della pennsylvania. già nelle prime ore stava andando meglio di quanto credessimo. la florida, poi, è stata un’emozione. quella stessa florida del 2004 e del 2000. era fatta. è inimmaginabile quello che è stato il conto alla rovescia alla chiusura delle urne negli stati più ad ovest. un caleidoscopio infinito di volti, anziani giovani e bambini di ogni razza ed estrazione sociale. …tre, due, uno. e compare sull’unico megaschermo l’annuncio della cnn. “obama elected”. boato generale. una svolta. gente che s’abbraccia senza conoscersi, piange, lancia i bambini per aria. epico.


e mentre sul megaschermo dal raduno repubblicano parlava mc cain (che tra l’altro poteva anche darci un taglio, non la finiva più) la gente ascoltava in rispettoso silenzio. a parte qualche battuta e qualche risata ogni volta che mc cain, rivolgendosi ai suoi, la definiva come una serata triste. dopo una buona mezzora è arrivato l’atteso annuncio “ladies and gentlemen…please welcome…”. ma era solo un prete. ha detto una preghiera. inquietante stare in mezzo a un quarto di milione di persone che dicono “amen”. altri dieci minuti di musica country e finalmente di nuovo l’annuncio “laaaadies and gentlemen”. ma era solo jesse jackson. parole commosse, e che muovono, le sue. ma la sensazione è quella da gruppo spalla. bravo, bravo, ma ora levati dalle palle e dai inizio alla festa. altri dieci minuti di musica amena. il terzo era quello vero. “laaaadies and gentlemen, please wecome, the new first family of the united states of america.” 

escono obama con moglie e figlie, e biden con la moglie. gli applausi e le grida si placano, e inizia il discorso che tutti abbiamo sentito.  stupendo. ma breve e conciso. è un uomo di fatti, più che di parole.


dopo che il nuovo presidente giovane nero ed ecologista ha lasciato il parco, la gente si è riversata in preda al più vivo entusiasmo sulla celebre michigan avenue. danzando, salendo sulle cose, cantando e suonando cestini dell’immondizia e lampioni. tamburi, cori, “oooooo-ba-ma!”, canti improvvisati con gruppi di donne di colore che ci imbastivano sopra una seconda voce con i loro virtuosismi spettacolari. la gente si metteva in posa, issava bandiere. e tutto il mondo stava a guardare, feste dappertutto. ho visto immagini dei giapponesi che saltavano e si sbracciavano tipo sotto anfetamina.  in kenya hanno dichiarato festa nazionale e chiamato una caterba di bambini barack, il giorno dopo. un paesino francese gli ha già intitolato una piazza. è questa la portata della fiducia che tutto il mondo ripone in lui. ma mentre sembrava che il mondo intero fosse intento a festeggiare, c’era chi continuava a lavorare: sulla strada un sacco di sciacalli vendevano già le magliette “yes, we did!”, calde di stampa. in fondo è questa l’america che conosciamo, “la terra delle opportunità”. vediamo se obama, ma personalmente ho pochi dubbi, riesce a ridarle anche un po’ di dignità.

vostra devota inviata che oggi ha surfato anche le onde radio,

elly

sabato 17 gennaio 2009

I DETTAGLI CHE HO PERSO PER STRADA - parte tre



sì, lo so che sto rischiando di non laurearmi e in questi giorni non ho un minuto, ma ho pensato che se c'è ancora qualcosa che posso raccontare della mia esperienza a chicago, è bene farlo adesso.

tra l'altro lunedì 19 gennaio sarà trasmessa su rete tre (radio svizzera), credo tra le 17:00 e le 18:00 una bella intervista che mi ha fatto andrea rigazzi. mi chiama mia madre e mi fa "ehy, c'è il tuo faccione su ticino sette". e chi lo sapeva. però capisci come si sentono le star quando le chiamano "ho visto una tua foto sul giornale", e non gliel'hanno mica mandata loro. la foto è oscena, ovviamente. ahaha. ma questo è ciò che ancora mi distingue da britney, suppongo.

ricordo ad eventuali nuovi lettori che poco più in alto sulla destra (per data) ci sono i link ai post dei giorni delle elezioni, per loro senza dubbio più stimolanti degli ultimi, puramente integrativi.

LA GENTE DI OBAMA

il primo posto dove sono andata a fare volontariato per Obama, il 2 novembre, era la sede di un sindacato. gliel’han prestata. del tipo “ciao, sono il sindacato, venite pure qui a fare le telefonate per Obama!“ al tavolone all’ingresso mia cugina saluta le volontarie. tavolone che è interamente ricoperto di adesivi della campagna, scatoloni industriali di penne biro, di cookies e di m&m’s. prendo uno di tutto, come sempre. una delle volontarie al tavolo, sommersa da fogli di dati, è una ragazza che studia all’università di chicago. ci scambio due battute, sembra in gamba. sta inserendo dati al computer.  alla velocità della luce.

ci spiega come fare e ci dà una lista di numeri da chiamare e un foglio con la traccia di cosa dovevamo dire a seconda di come ci avessero risposto. mancava l’ipotesi più ricorrente. quella dell’ “andate a quel paese“. poi ci cerca un telefono. di solito i volontari chiamano con il loro cellulare. alla faccia delle bollette. basta fare il conto di 100-200 chiamate in un altro stato al giorno. io però avevo bisogno di un telefono, ovviamente.  non vi tedio ulteriormente perché delle mie telefonate ho già raccontato nei post di quei giorni.

fare queste telefonate non è facile. non sai  bene la lingua, non sai le reazioni. in effetti rispondono in pochi, si vede che sono abituati a riceverle. è già tanto che noi siamo persone in carne ed ossa, perché ricevono a fiotti anche le ”robocalls“: delle macchine chiamano automaticamente i numeri in serie e una voce meccanica ti dice chi devi votare. o spesso è la voce del candidato stesso. che trip! il piccolo josh risponde al telefono e mccain gli attacca la pezza. „josh, chi è?“ „è mccain mamma.“… „piccolo bugiardo, niente merenda!“


il secondo giorno siamo andate già in mattinata al quartier generale vero e proprio, in west lake street. penseresti a chissà quale superstruttura organizzata con gli ascensori che ti danno il buongiorno, e invece entri in un palazzo qualunque, e in un corridoio ci stanno delle scalette strettissime che portano al piano sotterraneo. molto underground. scalino dopo scalino puoi già sentire il brusio. entri in un locale dove alcune volontarie ti fanno compilare un registro con i tuoi dati e ti danno il materiale per le chiamate. c’è gente che fa telefonate sparsa ovunque. anche in bagno. c’è una stanza gremita sulla sinistra, mentre diritto davanti  a me c’è una sorta di bancone oltre il quale s’intravede un’altra stanza con dei separé dove alcune persone fanno chiamate, altre lavorano al computer. il tutto in un chaos sconvolgente, ma magico. un corridoio sulla destra ed ecco un’altra stanza, quella delle provviste. su dei tavoloni stanno ammassate bottigliette d’acqua, casse di coca fanta e sprite, bagels (n.d.r. i bagels sono tipo delle ciambelle salate che di solito vengono tagliate a metà e farcite nei modi più vari), caramelle, lecca lecca, biscotti, panini enormi tagliati già a fette, pezzi di pizza… con un po’ di agilità potevi procurarti un piatto e riempirlo, saltando via gli arti di qualche volontario seduto per terra. a fare chiamate, naturalmente.

una vecchia signora di colore, che fa la casalinga, è seduta  sulla sedia che le ha gentilmente ceduto un giovanotto molto bianco, probabilmente studente di liceo. due persone che non avrebbero niente in comune, che non si sarebbero incontrate, se non per questa assurda impresa. se non perché b.o. è riuscito a radunare le persone più diverse intorno ad una speranza. io ho fiducia che lui mantenga la parola data e faccia quel che ha promesso di fare, ma se non vi riuscisse ci sarebbe da essergli grati anche solo di questo.  

non si potevano fare video né foto, ecco tutto quel che son riuscita a rubare. le foto sono tutte su flickr.


il terzo giorno, quello delle elezioni, siamo tornati lì. i miei cugini facevano chiamate a tutto spiano. macchine-da-guerra. io invece mi sono occupata di ”data entry“, inserivo i dati delle immense liste di chiamate nel database dei democratici per aggiornarle. avrò inserito tipo trenta pagine, ognuna con 32 persone. ho conosciuto luca, il ragazzo di verona che è venuto a fare il volontario pur non essendo neanche americano. sono andata a prendere qualche bagel per i ragazzi, tipo grande famiglia. ho visto della gente stringere rapporti sinceri, li dentro. salutarsi l’indomani come vecchi amici. darsi una mano. raccontarsi di sé. e tutto questo, mi piace pensare, rimarrà. io non credo che sia accaduto spesso, nel mondo, che una campagna elettorale suscitasse conseguenze simili sul piano umano. ed è stupendo. è come dovrebbe essere. in culo all’indifferenza, cancro delle nostre società. in culo a chi ci vuole rincoglioniti davanti ai reality show. chiusi e impauriti nelle nostre case o rintanati nelle nostre chiese, dietro a finte certezze e pregiudizi. questa campagna ha fatto entusiasmare, ha fatto riflettere, ha fatto discutere e litigare, ha infiammato i cuori. ha fatto uscire la gente di casa e da lavoro per andare a parlare con altra gente. ha fatto ricominciare a credere. ha fatto appassionare alla politica. e tutto questo è eccezionale. lo so bene io, che all’università devo implorare per un voto. perché la gente se ne fotte, è malata di sfiducia, di qualunquismo. “sono tutti uguali, i politici, e nessuno guarda più in là delle sue tasche”.

obama invece ha coinvolto, e così tanto. e a prescindere se riesca o meno a far davvero le rivoluzioni promesse, questo è già tanto. l’esser riuscito, in questo contesto, a far credere in lui, e a far credere nella possibilità di questo tanto speso cambiamento. come se nell’invocarlo questo cambiamento l’abbia già fatto accadere. e la gente comune rinuncia al divano, spegne la tele ed esce di casa per venire qui a sedersi per terra e chiamare un concittadino in indiana per spiegargli quanto è importante votare. non io, studentessa di giurisprudenza impegnata da sempre nelle battaglie civiche, io animale politico. ma la casalinga di colore che non sa cosa sono i grandi elettori, lo studente del liceo che fino a due settimane prima passava le ore libere davanti alla play 3, la signora di 106 anni citata da obama a grant park che fino a queste elezioni non aveva mai votato. un miracolo. allungo l’orecchio e sento una anziana signora che cerca di convincere qualcuno al telefono. “i’m not an educated person”, continuava a ripetere. “I’m not an educated person but I can feel he’s gonna make things different.”

il giorno dopo le elezioni la gente aveva già smesso le magliette e le spille. tutto normale, come fosse un giorno qualunque. ma la ragazza che faceva la volontaria alla sears tower, quando ha visto la mia spilla, mi ha venduto il biglietto e mi ha bisbigliato “psss. I was a volunteer too”. e mi ha strizzato l’occhiolino. e così mi piace pensare che i legami inaspettati che si sono creati tra quelle strette mura, tra pezzi di panini e cartelloni, tra telefoni carte e speranza, rimarranno. a maggior ragione ora che gli sforzi sono stati ripagati da questa splendida, incredibile vittoria.

keep in touch – prevedo ancora un paio di post. e poi c’è sempre in ballo quella sorpresina per i lettori più fedeli.

vostra inviata sommersa dallo studio ma che non perde il sorriso pensando che tra qualche giorno il nostro ragazzo dell’illinois sarà presidente. e bush non lo sarà più.

elly

sabato 29 novembre 2008

I DETTAGLI CHE HO PERSO PER STRADA - parte due

le mie foto di chicago qui:
e qui:

Miei adorati, scusate il ritmo. Sono messa proprio male con lo studio. Così mi imparo a far la figa e andare a far volontariato per Obama! Tié!

Nel frattempo sabato scorso ho rilasciato un'intervista a rete 3 (radio svizzera, ma c'è anche in streaming) sull'esperienza di quei giorni. Sarà trasmessa il 19 gennaio tra le 17:00 e le 18:00 credo. È andata benissimo. Mi sono impappinata come un'imbecille solo una volta in 35 minuti. E non l'ho detto a nessuno, ma è perché mi scappava un ruttino e non riuscivo a smettere di pensarci. ;-)

LA CONVIVENZA CON I CUGINASTRI

I miei cugini sono cugini di mio padre, in realtà.  Sono due insegnanti in pensione, e lei ora lavora da qualche anno per il partito democratico. Ha fondato una sezione del partito nella campagna vicino Chicago e ora lavora per una congresswoman del partito democratico che è stata riconfermata il 4 novembre con una bella vittoria. Vivono da poco in un appartamento nel pieno, e quando dico pieno intendo PIENO, centro di Chicago. Al quarantaseiesimo piano di un grattacielo superlussuoso con piscina e jacuzzi con vista sulla skyline della città. Ma che pensi che vado a Chicago e mi porto il costume?! Ovviamente no. Mi ci sarei pociata dentro come un biscotto felice nel cappuccino. I miei cugini sono simpaticissimi. Ma vegetariani. Io ho vissuto tre anni con una vegetariana, niente in contrario. Ma qui, signori, stiamo parlando di vegetariani americani. Il che implica che hanno il frigo pieno di orrido affettato inscatolato a base di soia, finto, ma non provate a chiamarlo finto davanti a loro perché si offendono a morte! Sciagura a voi! Dopo giorni di titubazioni ho risolto con un compromesso. Ho cominciato a chiamarla carne „alternativa“. Insomma, orrido affettato incolore che dovrebbe sembrare mortadella. E la cosa più inquietante è che SA DAVVERO di mortadella. No, non voglio sapere come. Però dopo che l’hai mangiata rutti fuoco per due giorni. Alle tre del mattino davanti alla tele non l’avevo ancora digerita. L’avevo mangiata a pranzo.

Una sera ho cucinato io. Per gentilezza, e per sopravvivenza. E poi, l’odore di cipolla sulle dita mi tiene compagnia. La pasta era integrale, ovviamente. Come i pancake che facevamo la mattina. Pancake. Integrali. È un ossimoro! Per fortuna lo sciroppo d’acero era vero. Altrimenti lo buttavo dal 46esimo piano.

Mia cugina è una donna fantastica, estermamente vitale ed interessante. Mio cugino è una persona colta ed adorabile. Ha solo un difetto. Che rompe il cazzo ai camerieri. Una sera abbiamo cenato al ristorante dell’Hilton all’aeroporto con sua figlia, e ha avuto come l’impressione che sotto le belle foglione d’insalata verde ci fossero foglie più secche, vecchie e tristi e scolorite. Allora quando è arrivato il cameriere gli ha fatto una piazzata. Ehi, io sono cresciuta con una madre che ogni volta attacca brighe con gli impiegati postali! C’ho il trauma! Volevo morire. Ha fatto chiamare il suo superiore e mentre loro non mi guardavano io gli facevo dei gran sorrisi e ammiccavo, facevo il gesto del dito sulla guancia per manifestargli che la mia scarsa zuppetta di zucca invece era DI-VI-NA. Lui non sembrava colpito dalle loro lamentele. Forse in America funziona così. In Italia, credo io, nei posti più eleganti ti sputerebbero nel piatto di nascosto, ma in quelli comuni il proprietario ti prenderebbe e ti butterebbe fuori a calci. „Ah sì, non è di suo gradimento?! Vediamo se questo le piace!!“ SDENG. Non è che credo e basta, mi è proprio successo, una volta, al festival di Venezia. Ma questa è un’altra storia... A parte la teoria del complotto dell’insalata, insomma, mio cugino è totalmente sano di mente e davvero in gamba.

Ah, cos’era ogni sera addormentarsi coi fratelli grattacieli che ti stringono in un abbraccio, (cemento caldo, vetrate affetuose) rannicchiata nel piccolo studio, sul mio enorme letto-gonfiabile-a-due-piazze-perché-se-non-gossiamo-in-america-non-ci-piace. Una sera -quella in cui mi sono addormentata davanti ad Oprah e mi si è scaricata la batteria della mia macchina fotografica, ricordate?- mi ero dimenticata di gonfiare il lettone. Mi son risvegliata sul divano che era davvero troppo tardi per azionare la dannata pompetta automatica e il tremendo frastuono connesso. Allora l’ho gonfiato timidamente solo a metà. Bella idea di merda. Il giorno dopo, il giorno delle elezioni, mi aspettavano sette ore in piedi e io avevo le vertebre che sembravano più una griglia per sudoku.

vostra inviata tra le foglie di insalata, elly

Presto un nuovo post, "L'AMERICA SULLE STRADE DI CHICAGO".

mercoledì 19 novembre 2008

I DETTAGLI CHE HO PERSO PER STRADA - parte uno

ecco con un po’ di ritardo i dettagli della mia esperienza a chicago che si erano persi per strada. qualche pensiero che mi ero annotata ma non avevo avuto il tempo di condividere.

IL VIAGGIO IN AEREO

mi piacciono le colonne per la sicurezza, quei serpentoni infiniti che non si sa come riescono a farti fare un’ora di fila in 2 metri quadri. quelli che ti fanno andare avanti e indietro in un assurdo labirinto di cordoni. mi piacciono perché puoi flirtare con la stessa persona almeno quattro volte. già sapevo di essere una persona emotiva, una frignaccia insomma, ma il giorno della partenza è stato un dramma. mi emozionavo ogni volta che dicevo o sentivo dire chicago, e mi venivano le lacrime agli occhi ogni volta che usavo il passaporto americano all’aeroporto. avranno pensato che sono uno squilibrata. una volta sull’aereo, convinta che ormai andava tutto bene e avevo preso tutto, ma proprio tutto, ho spento il cellulare. e mentre quello si spegneva con sorriso che giurerei beffardo, io mi sono ricordata qual era l’unica cosa che avevo dimenticato. di segnarmi il nuovo pin. ho tirato due spergiuri tra me e me. ok, forse più di due. per recuperarlo ho dovuto litigare venti minuti (e quattro euro) con un telefono a gettoni per chiamare mio padre e spiegargli dov’era. le ore a parigi nell’attesa dello scalo non passavano più. mi facevo gli scherzi per ammazzare il tempo. sbagliavo strada apposta.

 

il ritorno è andato meglio, tutto sommato. all’aeroporto di chicago le prese per il computer stanno in fondo a delle colonne che sorgono in mezzo alle  hall. tutte occupate, ovviamente, tranne una accanto al cestino dei rifiuti. sì, non me ne frega un cazzo, mi son seduta sotto il cestino e mi sono vista un film. in realtà morivo dalla voglia di connettermi a una qualche rete wireless e postare altri aneddoti totalmente insensati qui sul blog, ma le balorde prima ti illudono dandoti per connesso, poi l’unica pagina che ti si apre è quella con le istruzioni per pagare. il vero colpo basso però viene quando, ormai gettata la spugna, chiudi la finestra. e sotto ne trovi una che se ne stava lì nascosta sin da principio, e che con tono complice e un po’ malizioso ti sussurra: “sure you don’t want to connect?“

per concludere il mio viaggio epicamente come l’ho iniziato, mi sono accorta che per tutto il ritorno ho indossato le mutande al contrario. una maledizione. come l’altro giorno, per chi di voi si ricorda, che dopo essere stata sette ore a grant park ad aspettare obama e vedere la storia spostare l’aria di fianco a me, ho scoperto che per tutto il tempo avevo addosso il maglione al contrario. no, dignitosa. complimenti. un tizio incontrato all’aeroporto di amsterdam, stavamo abbioccando sulla stessa panchina, è stato così gentile da regalarmi uno dei gadget della sua compagnia. si tratta di una chiavetta USB a forma di dottore. stacchi la testa et voilà. la faccia secondo me è un po’ diabolica. come lo scoiattolo. il meglio è quando la colleghi, e c’è un omino con le gambe e le braccia per aria che spunta dal tuo computer. fa un po’ effetto. nient’altro di rilevante, per ciò che concerne i miei viaggi. se non che secondo me c’è qualcosa che non va. com’è possibile che il martini al duty free costa come dai pakistani sotto casa mia? 

keep in touch e attendete ansiosi il prossimo post con i succulenti dettagli sulla convivenza con i cuginastri e l’america nelle strade di chicago.

vostra inviata nelle colonne della sicurezza,

elly

giovedì 13 novembre 2008

a una settimana

ciao miei-cari-amici e miei-carissimi-lettori, mi siete mancati.
sono tornata a bologna, e subito in una nuova battaglia che stanotte ci vedrà partire per roma con un treno che abbiamo affittato con altre associazioni di studenti. ma quanto figo fa, "affittare un treno"?
mentre sto ultimando i post più dettagliati sui miei giorni a chicago che vi ho promesso, intanto voglio condividere con voi il mio sfondo del desktop. se qualcuno invasato come me volesse ricordarsi ogni singolo giorno quando accende il computer del miracolo avvenuto una settimana fa, quando negli stati uniti è stato eletto finalmente un presidente che vuole togliere ai ricchi per dare ai poveri e risolvere la questione climatica.



ecco il link dove lo trovate in dimensioni adeguate.

a risentirci, appena finisco di scrivere.
vostra inviata nel sogno mai tramontato di un mondo più...più un sacco di cose.

elly

sabato 8 novembre 2008

a casa

sono tornata.
ora scappo al volo allo spettacolo teatrale di alessandro,
ma poi vi racconterò del viaggio.
e durante il viaggio ho annotato tantissimi dettagli da dispensarvi
keep in touch! anche perché chi mi sarà fedele fino in fondo
potrebbe essere premiato... ;-)

vostra inviata rientrata sana e salva,
elly

venerdì 7 novembre 2008

time to say goodbye





tra poche ore riparto.
nel frattempo ho visto un sacco di belle cose che vale la pena di raccontare,
ma credo che mi prenderò il tempo del volo per farlo. domani alle 16:30 arrivo a Milano.
nel frattempo dovrò sopravvivere ad Amsterdam 4 ore.
mi chiedo se ci sono dei duty free coffee shop.
flickr non mi lascia mettere altre foto,
quindi per ripicca ne metto un paio qui per cominciare.
il volo sarà anche un'ottima occasione per iniziare
a montare il video.
keep in touch,
ci sentiamo da casa.

ci sono tanti dettagli che ho dovuto trascurare,
pensavo di avere più tempo a disposizione e invece
è stato tutto così frenetico. ma non preoccupatevi,
ho salvato tutto nella memoria.
dio, parlo come se fossi sposata con un processore.
al mio ritorno avrò una marea di tempo per
raccontarvi i retroscena di questa epica avventura.
perdonatemi il ritardo!

vostra inviata sempre in ritardo, per antonomasia.


elly

Lettori fissi