UNA SETTIMANA CON OBAMA|la vostra inviata al quartier generale di Obama negli ultimi gg di campagna

"io ho avuto una grande fortuna nella vita, ho sempre sentito quando la storia mi passava dinanzi. istinto. (...) ho capito che qui cambiava la storia, e io non potevo che farne il testimone. stavo per ritornare nell'himalaja, avevo già fatto le valigie. ma mi pareva ingiusto, mi pareva di abdicare al senso di tutta la mia vita, che è stato quello di farmi coinvolgere nelle grandi storie. e allora mi sono rimesso in viaggio."
      -T. Terzani-

Me ne stavo abbioccata sul divano col mac che mi bruciava di nuovo le ginocchia, quando queste sacrosante parole mi sono tornate alla mente e, ahimé, mi hanno condotta a questa piccola follia. 

Credo ci siano momenti di una tale portata storica che uno non può starseli a guardare in televisione. E allora ho messo da parte ogni altra cosa, lo studio, gli impegni, la pigrizia, la paura di volare e ho prenotato il mio biglietto per Chicago.
Perché comunque vada, cambierà il futuro di tutti noi. E quindi come cittadina del mondo, prima che americana, quell'atmosfera voglio respirarla a piena polmoni. Quella notte voglio viverla con questi occhi e sulla mia pelle.

Ho una cugina, là, che lavora alla campagna elettorale. Mi ospiterà per una settimana, dal 1 al 7 di novembre. Nei primi giorni le darò una mano al quartier generale di Obama, poi mi vivo la notte dei risultati, resto ancora un paio di giorni e torno a casa.

Di questa piccola avventura voglio lasciare una traccia qui. Per me, per gli amici che mi seguono da casa e per chi come me è curioso di sapere che aria tira, là, dove si gioca sul serio questa partita. Che per come girano le cose, purtroppo, ha come posta il destino di mezza umanità. Tenete i crocini, va.

vostra inviata nel delirio,
elly

mercoledì 19 novembre 2008

I DETTAGLI CHE HO PERSO PER STRADA - parte uno

ecco con un po’ di ritardo i dettagli della mia esperienza a chicago che si erano persi per strada. qualche pensiero che mi ero annotata ma non avevo avuto il tempo di condividere.

IL VIAGGIO IN AEREO

mi piacciono le colonne per la sicurezza, quei serpentoni infiniti che non si sa come riescono a farti fare un’ora di fila in 2 metri quadri. quelli che ti fanno andare avanti e indietro in un assurdo labirinto di cordoni. mi piacciono perché puoi flirtare con la stessa persona almeno quattro volte. già sapevo di essere una persona emotiva, una frignaccia insomma, ma il giorno della partenza è stato un dramma. mi emozionavo ogni volta che dicevo o sentivo dire chicago, e mi venivano le lacrime agli occhi ogni volta che usavo il passaporto americano all’aeroporto. avranno pensato che sono uno squilibrata. una volta sull’aereo, convinta che ormai andava tutto bene e avevo preso tutto, ma proprio tutto, ho spento il cellulare. e mentre quello si spegneva con sorriso che giurerei beffardo, io mi sono ricordata qual era l’unica cosa che avevo dimenticato. di segnarmi il nuovo pin. ho tirato due spergiuri tra me e me. ok, forse più di due. per recuperarlo ho dovuto litigare venti minuti (e quattro euro) con un telefono a gettoni per chiamare mio padre e spiegargli dov’era. le ore a parigi nell’attesa dello scalo non passavano più. mi facevo gli scherzi per ammazzare il tempo. sbagliavo strada apposta.

 

il ritorno è andato meglio, tutto sommato. all’aeroporto di chicago le prese per il computer stanno in fondo a delle colonne che sorgono in mezzo alle  hall. tutte occupate, ovviamente, tranne una accanto al cestino dei rifiuti. sì, non me ne frega un cazzo, mi son seduta sotto il cestino e mi sono vista un film. in realtà morivo dalla voglia di connettermi a una qualche rete wireless e postare altri aneddoti totalmente insensati qui sul blog, ma le balorde prima ti illudono dandoti per connesso, poi l’unica pagina che ti si apre è quella con le istruzioni per pagare. il vero colpo basso però viene quando, ormai gettata la spugna, chiudi la finestra. e sotto ne trovi una che se ne stava lì nascosta sin da principio, e che con tono complice e un po’ malizioso ti sussurra: “sure you don’t want to connect?“

per concludere il mio viaggio epicamente come l’ho iniziato, mi sono accorta che per tutto il ritorno ho indossato le mutande al contrario. una maledizione. come l’altro giorno, per chi di voi si ricorda, che dopo essere stata sette ore a grant park ad aspettare obama e vedere la storia spostare l’aria di fianco a me, ho scoperto che per tutto il tempo avevo addosso il maglione al contrario. no, dignitosa. complimenti. un tizio incontrato all’aeroporto di amsterdam, stavamo abbioccando sulla stessa panchina, è stato così gentile da regalarmi uno dei gadget della sua compagnia. si tratta di una chiavetta USB a forma di dottore. stacchi la testa et voilà. la faccia secondo me è un po’ diabolica. come lo scoiattolo. il meglio è quando la colleghi, e c’è un omino con le gambe e le braccia per aria che spunta dal tuo computer. fa un po’ effetto. nient’altro di rilevante, per ciò che concerne i miei viaggi. se non che secondo me c’è qualcosa che non va. com’è possibile che il martini al duty free costa come dai pakistani sotto casa mia? 

keep in touch e attendete ansiosi il prossimo post con i succulenti dettagli sulla convivenza con i cuginastri e l’america nelle strade di chicago.

vostra inviata nelle colonne della sicurezza,

elly

Lettori fissi